Nella regione nota come “data center alley” negli Stati Uniti, il consumo di acqua da parte delle grandi aziende tecnologiche sta raggiungendo livelli allarmanti. L’area, che si estende principalmente tra la Virginia e la Carolina del Nord, ospita numerosi data center che supportano l’infrastruttura di colossi come Google, Microsoft e Amazon. Questi impianti sono fondamentali per il funzionamento di internet e dei servizi cloud, ma stanno anche contribuendo a una crescente domanda idrica che preoccupa gli esperti ambientali.
I data center, infatti, richiedono enormi quantità di acqua per raffreddare i server che elaborano miliardi di dati ogni secondo. Secondo le ultime stime, i consumi idrici di questi centri potrebbero arrivare a superare i miliardi di litri all’anno, soprattutto in periodi di intenso traffico digitale. L’aumento del consumo è particolarmente preoccupante in un contesto di cambiamenti climatici e siccità sempre più frequenti in molte parti degli Stati Uniti.
Gli attivisti ambientali chiedono interventi urgenti per regolamentare l’uso dell’acqua da parte delle grandi aziende tech, temendo che questo possa avere ripercussioni negative sulle riserve idriche delle comunità locali. D’altra parte, le aziende stesse affermano di essere impegnate nella ricerca di soluzioni sostenibili, come l’uso di sistemi di raffreddamento più efficienti e il riciclo dell’acqua. Tuttavia, secondo molti, queste misure non sono sufficienti per affrontare una crisi che potrebbe presto diventare insostenibile.
L’opinione pubblica inizia a mostrare segnali di crescente preoccupazione, mettendo pressione sui governi locali per monitorare più da vicino l’uso delle risorse da parte dell’industria tech, che si trova ora al centro di un acceso dibattito.